Resistere, Resistere, Resistere...

Cartolina Over Size - Speciale Resistenza
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Non dite a mio nonno...
Non dite a mio nonno, e a chi versò il sangue per liberare la patria dall’infamia del nazifascismo, che i figli e i nipoti dei gerarchi di ieri sono i governanti di oggi. Non ditegli, soprattutto, che la memoria della resistenza italiana rischia di morire assieme agli ultimi testimoni e attori delle lotte partigiane. Semplicemente cancellata dai programmi scolastici, dal parlare e dal sentire comune. Logorata da una progressiva e costante opera di revisionismo storico, attraverso cui si è voluto, innanzitutto, mettere sullo stesso piano i martiri partigiani e i morti della Repubblica di Salò, per poi arrivare ad omettere, nei libri di storia, i valori fondanti della Repubblica: Resistenza e Antifascismo.
Artefici di questo oblio, sapientemente indotto nelle fragili e volubili coscienze italiane, non sono solo i Pansa o le Gelmini di turno. La perdita della memoria collettiva, che ci sta nuovamente precipitando in un baratro di ignoranza e qualunquismo secolare, è precisa responsabilità di ogni singolo individuo, di ogni singolo soggetto, politico o meno, che si muove ed agisce nell’ombra o alla luce dei riflettori mediatici nazionali.
Tra il 1945 e il 2010, non ci sono solo sessantacinque anni di distanza. In mezzo c’è la Guerra Fredda, il terrorismo di Stato, il golpe Borghese, il Gladio, il Piano di Rinascita Democratica di Gelli e della P2, Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la conseguente nascita di un regime mediatico di stampo neofascista, la globalizzazione, l’11 settembre e le guerre preventive della NATO in Iraq e Afghanistan, propagandate come missioni di pace e, alla lunga, mostratesi agli occhi dell’opinione pubblica per quello che realmente sono: occupazioni militari di terre ricche di risorse e acquisizione di posizioni strategiche nello scacchiere militare planetario.
Anno dopo anno, la borghesia internazionale ha lavorato, indisturbata, per cementare le fondamenta di un mostro economico globale che, con la complicità di governi fantoccio e di un’opinione pubblica narcotizzata e asservita, ha comprato e svenduto la sovranità nazionale e i beni pubblici di ogni paese in cui è riuscita ad insediarsi. E dove non è riuscita a comprare ha portato guerra, instabilità politica ed economica, stragismo di Stato, malaffare e un asfittico controllo sociale, ottenuto con mezzi leciti e illeciti.
Sullo sfondo di questo tetro scenario – in cui le lotte di resistenza del futuro assumono i connotati di vere e proprie guerre per il libero accesso alle risorse idriche e alimentari, per il riconoscimento del diritto all’esistenza stessa e alla libertà dalla schiavitù esercitata da élites politiche e finanziarie – su questo sfondo si muove ciò che rimane della Resistenza.
No, non si sta parlando di quell’accozzaglia di politici e politicanti della pseudo-sinistra italiana, che ha cambiato i propri punti e valori di riferimento storici alla stessa velocità con cui ha dimostrato di essere avvezza a cambiare abito, bandiera e poltrona. Si parla di tutte quelle coscienze che hanno animato le lotte operaie e studentesche del ’68, le battaglie democratiche per i diritti civili (come il divorzio e l’aborto) e i diritti umani, le lotte contro il nucleare, contro la mafia e la corruzione di Stato. Quel fronte di lotta sembra essere stato spazzato via, annichilito e fagocitato da un sistema di falsi miti e falsi valori, in cui la perdita della memoria storica è direttamente proporzionale alla perdita di coscienza e identità di popolo, della sua capacità di porre argine a tutte le forme di fascismo del nuovo millennio. Un sistema in cui la corsa alla poltrona (nel piccolo e nel grande) si è sostituita alla capacità e alla voglia di lottare per tutelare i propri diritti.
È tempo di prendere nuovamente coscienza e tornare alle barricate, per difendere il nostro passato e il futuro dei nostri figli.

di Büyükbaba
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Scuolopoli
Ancora quest’anno, ancora insieme. Neanche il tempo cancella le rughe e le magagne della scuola italiana, che di anno in anno peggiora, manco avesse una rara malattia tropicale. Sono finiti “i finanziamenti a pioggia e le logiche baronali” per la gioia di Brunetta, mentre parte il cannibalismo tra le varie università nel ricevere i fondi per gli atenei più virtuosi. L’importante è incominciare a correre come nella Savana o in un campo di calcio spelacchiato: i soldi vanno e vengono, anzi vanno, perché a riceverli sono sempre in pochi e in condizioni di estrema speranza e carità. Si ciurla nel manico, forse. In Italia abbiamo solo l’arretratezza di un sistema scolastico vecchio e logoro, da mille e una notte dei tempi che furono.
In Francia si studiano i vini, in Italia il vino è stato abolito anche in alcuni istituti alberghieri. In Germania gli alunni vanno in piscina, in Italia la materia “Educazione Fisica” è diventata una pausa caffè o sigaretta. Nelle Filippine gli alunni ricevono bacchettate sulle mani, in Italia no. Per fortuna, almeno in questo ci siamo evoluti. Potrei fare altri paragoni, ma guardo di nuovo nel nostro bel paese. Mancano gli incentivi alla cultura: il cinema è stato sottovalutato, si studia (nelle migliori delle ipotesi) nelle facoltà del Dams; La musica è una materia impostata a salterello, e di teatro neanche a parlarne: bastano le recite scolastiche. L’italiano diventa un optional (anche per il sottoscritto, mannaggia!), Dante è palloso, Federico Moccia è trendy, e nei temi in classe degli alunni sono talmente bravi da copiare anche il nome del povero e sventurato compagno di banco. Si dimentica, inoltre, l’importanza sociale delle bidelle che, saranno i gusti, hanno rinnovato il loro look, togliendo dalla memoria l’orribile clichè della “donna baffuta” che portava il caffè amaro all’insegnante di latino. Andiamo avanti.Passiamo ora ai “giornalini scolastici” che diventano, con il passare del tempo, una fabbrica degli orrori, grazie all’improvvisazione più assurda. Un avvocato può improvvisarsi ingegnere nucleare? Un contadino può progettare il rilancio di un’azienda con milioni di debiti? Forse in un clima d’anarchia: quello della stampa scolastica, dove i ragazzi (anche bravi, per carità) si cullano credendo che il mondo dei mass media sia lustrini e merletti, senza critiche e censure, oltre quelle dei prof. Il giornalismo, l’unica materia non trasmissibile con libri e presentazioni di Power Point, diventa forma di posticcio casereccio, un “volemose bene” a tutti i costi deleterio e fine a se stesso.
La materia giornalistica si apprende sul campo, raschiando i denti per terra, e paradossalmente questo lo hanno capito in alcune facoltà di Scienze della Comunicazione. A torto, infatti, per il rammarico di tutti gli aspiranti pubblicisti che, ogni tanto, vorrebbero studiare qualcosa d’inerente al proprio mondo e al proprio futuro. Pazienza, non si può avere tutto nella vita.Il colpo di genio arriva dagli stage, quasi diventati una sorta di lager. Stage che, bene precisare, sono organizzati, soltanto in alcune regioni italiane.
Il monito lanciato dall’Unione Europea sembra lasciare indifferenti, ma le forme d’abuso dei tirocini aumenta. Controllare i tempi, le condizioni e gli obiettivi preposti sembra essere un passatempo e i giovani sono lasciati alla mercè di imprenditori che, in tempi di crisi, approfittano di tanto oro colato.
Ci lamentiamo di tante cose e dimentichiamo che un giovane su sei in Italia anticipatamente abbandona gli studi e 5 milioni di persone, tra i 15 e i 24 anni, vivono lo spettro della disoccupazione. Soprattutto preoccupa la squalifica del diploma, diventato un pezzo di carta, neanche dei più nobili. In una forbice di 10-15 anni il diploma è diventato una sorta di licenza elementare, penalizzando la società meridionale, non certo impassibile ai dati elencati prima.
Mi preme, comunque, porgere gli auguri alla Gelmini, che tra poco diventerà mamma per la prima volta. Parte la caccia al sostituto, anche se rimpiazzarla è impresa ardua e difficile.
Tante le candidature e i curriculum spediti in quel di Arcore, nella speranza di trovare un cultore dell’istruzione degno di nota. Scartato il noto Checco Zalone per scarso appeal con i dirigenti scolastici, la scelta si è radicalmente spostata su Carlo Mazzone. L’ex tecnico della Roma è pronto per rituffarsi nella mischia, ma c’è chi rema contro nella speranza di un improvviso ribaltone. Platini? Platinette? Chi lo sa! Oppure Capezzone in tandem con Vittorio Sgarbi? Questi problemi ravviveranno il clima politico dell’Italia e sembra giusto augurare alla nostra cara Maria Stella di ritrovarsi tra le braccia un pupo sano e forte. Con la viva speranza che il nuovo arrivato non si ritrovi, in futuro, nella scuola pensata da mamma Maria Stella…

di Massimo Maneggio
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E la pillola non va giù
Ancora una volta si discute senza entrare nel merito degli argomenti, si sentono opinioni discordanti che lasciano spazio al non detto, al pregiudizio e alla mancanza di informazioni reali. È l’ennesimo caso di dibattito che dovrebbe coinvolgere l’opinione pubblica, e che ancora una volta mette in gioco il corpo delle donne. In questi giorni infatti il dibattito sulla pillola abortiva, la RU486, non ha permesso un adeguato approfondimento e un’adeguata comprensione di ciò che comporta.
Quando si parla di aborto ancora nel nostro paese si assiste ad una vera e propria crociata per evitare che le donne acquisiscano consapevolezza, e che possano scegliere se portare avanti o meno una gravidanza.
Seppur esista una legge, la 194/78, che permetta l’interruzione della gravidanza, nel nostro paese, esistono ancora diversi problemi culturali che si sono manifestati nei giorni passati, e le affermazioni sono sempre le stesse: l’aborto è sbagliato, va contro il valore della famiglia e della vita, ecc.
La polemica però è stata più accesa del solito: se si permette anche di abortire con una semplice pillola, secondo molti siamo arrivati al disastro completo.
La donna che abortisce, per gli obiettori di coscienza e per la stragrande maggioranza della nostra opinione pubblica, è una criminale, un’insensibile, ignobile esempio di egoismo.
Ma chi glielo spiega a questi signori che fino a prova contraria il “guaio” di solito si fa in due e che l’unica che si deve sobbarcare l’impegno, con tutte le menate esistenziali e le sofferenze fisiche, è la donna? Loro criticano, criminalizzano, si fanno portavoce di quell’Italia benpensante che non ammette certe cose, e non considerano neanche per un istante cosa porta una ragazza, una donna, alla decisione di abortire. Non sanno, o forse non vogliono sapere, quante in passato sono morte per aver interrotto in maniera clandestina una gravidanza. Imperterriti discutono, paventando lo sfacelo della società, il mal costume che l’assunzione di una pillola potrebbe generare.
Partiamo dal principio, dall’ovvio: abortire è un’esperienza molto dolorosa.
Non è una passeggiata, un gioco. Siete mai entrati in un reparto di ivg (interruzione volontaria di gravidanza)? Vi consiglieremmo una gita prima di giudicare, prima di dire cos’è giusto o sbagliato.
Nella dimensione emotivo-affettiva l’aborto può essere vissuto come la soluzione, il cui significato positivo o negativo dipende obiettivamente dalla situazione e dalle prospettive della gestante.
L’aborto da un lato può sembrare atto a guarire lo stress causato da una gravidanza indesiderata, ma, in sé e per sé, è un evento stressante.
Le emozioni più comuni collegate con l’evento aborto sono, da una parte legate al mondo sociale e riflettono la percezione di aver violato le norme (paura di disapprovazione, vergogna e senso di colpa), dall’altra, molto più connesse all’individualità della donna e sono legate a un senso interno di perdita (il dispiacere, la depressione, l’ansia, il dubbio, la rabbia).
Quando l’ambiente sociale in cui la donna è inserita offre comprensione e sostegno al pari dell’ ambiente medico-psicologico in cui l’aborto viene deciso ed effettuato, si assiste alla rapida scomparsa della paura, della vergogna e del senso di colpa. Resta il senso interno di perdita, la cui intensità varia a seconda della sensibilità della donna e che, comunque, deve essere rielaborato, possibilmente con un sostegno psicologico che dovrebbe sempre essere fornito alle donne che abortiscono, sia prima sia dopo l’interruzione della gravidanza.
Qual è la ferita/feritoia maggiore, l’aborto o il non riconoscerlo al momento del parto, garantendoti l’anonimato? Il bambino potrà essere adottato da un’altra famiglia?
Vogliamo, dunque, chiarire quali siano le differenze tra la pillola e l’interruzione per aspirazione, e lo facciamo per diversi motivi, principalmente per proporre qui tutte le informazioni che non sono tenute in considerazione, e che la maggior parte delle persone molto spesso ignora.

ABORTO PER ASPIRAZIONE

L’aspirazione, ovvero il metodo chirurgico, può essere effettuata entro le 14 settimane a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione. L’intervento viene eseguito in ospedale, sia come ambulante sia come degente. A volte, per facilitare l’intervento, il collo dell’utero viene rilassato con un farmaco (prostaglandina), da prendersi o il giorno precedente o il giorno stesso dell’intervento. Si può richiedere che l’intervento avvenga in anestesia generale o anestesia locale. Il collo dell’utero viene dilatato cautamente con dilatatori metallici fino ad un diametro da 6 a 12 mm. Viene in seguito inserita una fine cannula per l’aspirazione che rimuove i tessuti embrionali dalla cavità uterina. L’operazione dura circa 20 minuti. Generalmente, una visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l’intervento. I rischi e le complicazioni che comporta:

• Traumi o ferite al collo dell’ utero e/o alla parete uterina.
• Infezioni.
• Forti perdite di sangue.
• Eliminazione incompleta dei tessuti embrionali con conseguente necessità di una seconda aspirazione.
• Coaguli vascolari (trombosi).

METODO FARMACOLOGICO

Con il metodo farmacologico, invece, l’interruzione viene effettuata ambulatorialmente, con due farmaci: la Mifegyne (conosciuta anche con il nome di RU 486) e una prostaglandina. La Mifegyne blocca gli effetti dell’ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della gravidanza. La prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca l’espulsione dei tessuti embrionali. In presenza di personale medico, la donna assume tre compresse di Mifegyne. Poco dopo può rientrare a casa. Due giorni dopo, due compresse di prostaglandina sono anch’esse prese nello studio medico o in clinica. La donna rimane in osservazione per alcune ore. Per circa due terzi delle donne l’espulsione dei tessuti embrionali avviene in questo periodo, per alcune avviene più tardi a casa. Circa due settimane dopo la presa della prostaglandina viene effettuata una visita di controllo. I rischi e le complicazioni che comporta:

• Forti perdite di sangue o espulsione incompleta, con conseguente necessità di un’aspirazione per eliminare i resti dei tessuti embrionali rimasti nella cavità uterina.
• Insuccesso del metodo e continuazione della gravidanza. In questo caso è necessaria un’ulteriore aspirazione (intervento chirurgico).

Come evitare tutto questo? Prevenire è la vera parola chiave! Fare sesso proteggendo se stessi e il proprio partner ci rende individui consapevoli ed evita molti altri disagi, che non sono poi così secondari, come ad esempio tutta una serie di malattia sessualmente trasmissibili!


di Thelma e Louise
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La striscia in pillole

CitAzioni Manifeste

«L’autodeterminazione nell’aborto è una delle prime e più alte espressioni della soggettività femminile»
(Claudia Mancina)

«Questi conservatori sono proprio forti, vero? Sono tutti a favore dei non nati, farebbero di tutto per i non nati, ma una volta che sei nato, sono cazzi tuoi!»
(George Carlin)
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Intercettazione all'Assessore all'Intelligence
Mario: Pronto?!

Corrado: Ah Mario! Ho saputo poco fa. Tanti auguri!

M.: Grazie, ma chi è?

C.: Ahò, so’ Corrado. Non me fa di de più. Sai che al telefono non posso!!!

M.: Ehi, carissimo Corrado. Grazie, grazie. Hai visto? Che soddisfazione!

C.: Ma si. Chissà che piacere e che rivincita lì da te all’università. Non vedo l’ora di venire la prossima settimana per vedere le facce di tutti quelli… no no, per vedere la faccia di John, soprattutto lui, il vostro magnifico ermellino. Quello che prima appoggia Mimmo, il professore ex Assessore, e ora fa la riverenza a Peppe Ultrà!

M.: Guarda Corrà, non puoi capire, non ci puoi proprio arrivare. E il piacere ce l’ho ancor di più quando cammino per le aule e gli uffici della mia Facoltà. Tutti quei comunistacci che, pure loro, si facevano gli “slegati” movimentisti e ora mi fanno i complimenti perché ho spostato l’assessorato dalla facoltà di economia a quella di lettere.
Senti, ma tu, invece, che vieni a fare la settimana prossima ad Arcavacata?

C.: Mario! Capisco gli impegni, capisco la sbornia di felicità, capisco tutto… ma il 29 avete l’inaugurazione dell’anno accademico.
Dopo il Presidente “firma tutto”, sarò io l’ospite d’onore… eh!

M.: Capirai l’ospite d’onore. Il “fratello” John, alla fine, lo fa solo per quello che t’è successo ultimamente, tutte quelle parole che sono state dette, che ti sono state dette e che hai detto. Le direttive dall’alto sono quelle, lo sai.
Comunque, sia chiaro che il primo presidente l’ho portato io qui all’università, il “picconatore”, mica John. Gli avevo anche dato un ruolo nel mio master da 007 super figo. Poi quel comunistiello rompi palle di Raffo Perrellik ha pressato per toglierlo e quindi l’ho dov…

C.: Mario, scusa se ti interrompo. C’ho una chiamata sull’altra linea. È di nuovo LUI. È tutto oggi che mi stressa, non vuole che i tg rai parlino della rottura con il cofondatore del pidielle. Prima fa le minchiate e poi… Oh Mario! Ma non è che mi stanno intercettando anche qui? Sento rumori di fondo. Risate. Saranno mica quelli di Cubo Libre? Non avevi i telefoni sicuri tu?

M.: No Corrà. Stai Tranquillo. Chi mi deve intercettare a me? Al massimo sono io che intercetto gli altri. In questo sono un Master. Ciao caro. Ci vediamo la settimana prossima.

C.: Ok. Ciao Mario. Auguri di nuovo!

di Farabundo Malaussène
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Cartoline dalla Cattività - Veterane del red rope
Capitolo II - Veterane del red rope

Sguardi fissi su Joaquin: «Sì, che avete da guardare? Non sapete, certo che non sapete – ahahah sciocchi – ma non ricordo che siete o chi, perchè voi non lo sapete cosa siete. Non ricordo i vostri nomi miei cari, sarebbe importante?»
Ancora sguardi fissi. «Non domandate, non vi chiedete. Tanto non potreste sapere. Non è per voi conoscere». Nel prosieguo della serata Joaquin regalò alla platea un capitolo del suo personale Vangelo, intitolato Discorsi da bar (terminologia riveduta e corretta secondo la personale interpretazione del Surice): «Mimì & Cocò ogni giovedì sono solite dividersi i compiti per i preparativi: chi ci mette la casa (e quindi s’impegna a pulirla da sola il giorno dopo), chi viene scelta per raccolta soldi (a quel punto tutti dicono: fai la spesa che poi dividiamo… e questo poi non arriva mai) e chi si offre volontaria per scendere in città e comprare l’occorrente. Lì c’è chi compra il pane, chi il latte, ma loro solo i beni di "prima necessità": vodka alla pesca-lemon e vodka alla fragola-red bull… sperando che metta le ali. Ma quel giovedì rappresentava qualcosa di speciale per loro. Su Facebook arrivò un messaggio di posta: se avete una maschera indossatela, ci sarà una sorpresa!
E il delirio ebbe inizio.
Che prepariamo? – si chiedevano le ragazze – Io la voglio a forma di farfalla. E io la voglio a forma di stella. Ma come si fa? Ah!! – disse la coinquilina – Ho un cartoncino nella scrivania, proviamo?
Giunte quasi alla fine, arrivò l’artista di casa. Perché non ve la disegnate sul viso con i trucchi?
Geniale come idea – dissero loro – Io la voglio un po’ più piccola, magari che copra solo occhi e labbra. Ok mettiti qui seduta calma calma – disse l’artista –. Ne risultarono due grosse stelle sugli occhi e delle labbra viola scuro che incorniciavano il delizioso volto di Mimì».
Il Surice guardando il suo Casio da polso, che gli permette di quantificare in mezz’ora la durata del discorso iniziato da Joaquin nel momento stesso in cui ha chiesto la sua prima Peroni, pensa "questo qua parla solo di stè cazze di veterane del red rope". Poi, d’improvviso, il racconto di Joaquin acquistò finalmente un senso agli occhi del Surice, il suo pensiero venne occupato totalmente dal ricordo di un caso di cronaca nera avvenuto circa un anno prima.
"La Vamp assassinata" titolava il giornale. Si parlava di una ragazza trovata senza vita sul bordo di una strada della zona industriale, unico segno distintivo: il vistoso maquillage della zona oculare che colava su tutto il viso a causa della pioggia, due stelle sbiadite in una notte di tempesta e violenza.

di Kapitän Arschloch
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C'è chi dice no
Terminata quest’ultima tornata elettorale, a questo, solo per poco non confermato, bipolarismo, bisogna aggiungere una terza possibilità. Esprimersi nell’ astensione.
Dato sempre più rilevante nelle politiche di mezzo mondo.
Ma si è sentito e risentito, anche qui all’Unical, il bisogno di precisare: il non votante non vuole essere affatto associato al qualunquismo, ad una scarsa coscienza delle proprie responsabilità sociali.
Quando si attacca il non votante, accusandolo di poco rispetto verso le istituzioni, verso la propria costituzione e verso chi a duro prezzo combatté per il diritto al voto, ci si dimentica che chi combatté per i propri diritti non poteva immaginare che la partecipazione alla vita politica del proprio paese si sarebbe ridotta ad un tifo bisbetico da stadio, a favori e favoritismi, a più o meno squallidi ricatti, a giri di telefonate, a compromessi, a mazzette, a faccioni di lungimirante ipocrisia su di infiniti manifesti, a solari cenette mafiose, a buoni visi a cattivi giochi.
Non si rischi di identificare, nelle attuali condizioni in cui versa la politica nazionale, il diritto al voto a piena espressione della propria Libertà.
Un esempio tra tanti: è del lontano 2006 la legge elettorale di Calderoli che negò ogni possibilità di candidatura non proposta dai leader dei partiti.
Noi col nostro voto non scegliamo i ministri, non scegliamo il Parlamento.
Alexis de Toqueville in La democrazia in America già scopriva il diritto di reciprocità tra i vertici dei poteri costituzionali. Al proposito diceva: “non significa necessariamente che il popolo non possa votare ma che i meccanismi elettorali sono costruiti in modo da confermare invariabilmente l’oligarchia” - e parlava di oligarchia per descrivere una freschissima democrazia! -.
Non ci si illuda che le speranze e i princìpi che condussero alla dolorosa conquista del democratico suffragio universale si ritrovino intatti nelle nostre campagne elettorali.
E se qualcuno si salva dalla corruzione, non si salva certo la sua intera lista.
Infiniti i casi di scandali, ben camuffati in poche righe su di un giornale, che passano inosservati agli occhi dei tanti; e chi, una volta tanto, ha il coraggio di fare nomi precisi è accusato di fare solo parole e non fatti (quanta ironia, Gasparri!)!!
Chi non vota, ha bene in mente di stare rinunciando ad esercitare un suo nobilissimo diritto, ma lo fa appellandosi ad un altro: la Libertà di opinione, la libertà di scegliere e di dire No, quando un sì non cambierebbe nulla.
Il No di chi non vota non legittima la corruzione ed invita ad una svolta. Il No è un appello a bloccare la mafia incravattata dei volti massoni luminosi e sorridenti che possiedono il nostro paese e lo costringono a cementate catene. Il non voto è una scelta, dignitosa come la scelta di chi sceglie di votare a destra o di votare a sinistra.
Forse, ad oggi, la più libera.

di Barbie Crapanzano

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Acqua è democrazia. Un diritto per cui resistere
Il 31 marzo, presso la Corte di Cassazione di Roma, sono stati depositati i tre quesiti referendari promossi dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Dal 24 aprile i numerosi comitati territoriali che si oppongono alla privatizzazione dell’acqua, avvieranno, con banchetti allestiti in tutto il paese, la raccolta firme che si pone l’obiettivo di almeno 500.000 sottoscrizioni in tre mesi per poter richiedere il referendum.
I tre punti della proposta referendaria sono volti a scongiurare l’attuazione delle politiche che, in maniera trasversale, gli ultimi governi hanno elaborato al fine di assoggettare la gestione delle risorse idriche alle logiche di mercato. Oggi, dopo un percorso lungo tre anni, che ha portato il movimento per l’acqua a costituire un fronte compatto, concretizzatosi con la proposta di legge popolare – "Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico" sostenuta da 400.000 firme – attualmente ferma in commissione ambiente della Camera, risulta chiaro il boicottaggio delle forze politico-istituzionali. Ad esempio Tonino Di Pietro ha presentato nei giorni scorsi in Cassazione una proposta alternativa rispetto a quella dei movimenti, associandola con un quesito contro il nucleare, che è in realtà un’operazione volta a coagulare le forze della "sinistra" parlamentare italiana e risponde, tanto quanto l’orientamento legislativo dell’attuale governo, alle logiche di mercato.
Le posizioni che animano il dibattito sulla questione dell’acqua sono fondamentalmente due: una quella business oriented volta a demandare, secondo un processo graduale, la gestione delle risorse idriche verso soggetti privati (molte volte multinazionali già operanti nel comparto acque potabili), passando dalla forma di società mista pubblico-privata a quelle totalmente privata; mentre, sull’altro versante, si erge la convinzione di una larga porzione di cittadini che considerano l’acqua come un diritto fondamentale dell’individuo, come un bene comune e per tanto non assoggettabile alle dinamiche di un mercato non regolato. Riteniamo che il tema dell’acqua pubblica travalichi i meri aspetti gestionali della sua distribuzione, per rientrare nel discorso della tutela dei diritti delle comunità locali, all’interno dei quali l’autonomia nella gestione delle risorse naturali risulta fondamentale. Ad esempio in un suo recente atto legislativo la regione della Valle d’Aosta (a statuto speciale), opponendosi a linee guida nazionali sul tema, ha classificato l’acqua come bene privo di rilevanza economica sancendone per tanto l’impossibilità di gestirlo a fini di lucro. E la stessa Puglia con Vendola, prima e dopo le ultime elezioni, si sta muovendo in una direzione importante di gestione delle acque e dell’acquedotto pugliese, il più grande in Europa. In Calabria siamo indietro sicuramente, ma se qualche giunta comunale si è mossa per definire, con un semplice voto in consiglio, l’acqua bene comune (es.: il comune di Cosenza) – una cosa che, per definizione, si conosce già da piccoli –, il comune di Saracena in questi giorni ha preso una decisione diversa: prendere direttamente in mano la gestione del servizio affidandola ad un’azienda interna.
In vertenze di questo tipo ogni mezzo è lecito, anche la sola definizione di bene comune, se è l’unica che si riesce ad ottenere. Sia chiaro, pero, che in battaglie del genere, per la difesa delle libertà e dei diritti, che siano di informazione, di conoscenza o di altri beni comuni come l’acqua, appunto, l’unico modo per sperare di vincere è… resistere, resistere, resistere.

di Farabundo Malaussène
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  • progetto

    Cubo Libre è un progetto editoriale NO-PROFIT del collettivo universitario Filol8 AzioniManifeste, operante all' Unical (Università della Calabria).
    Consta, al momento, di un bollettino cartaceo stampato su un singolo foglio A4 (fronte retro) e di una piattaforma web in costante espansione.

    idea politica

    Rivendichiamo:

    - il diritto di riappropriarci degli spazi intellettuali;
    - il diritto "di sapere";
    - il diritto "al sapere";
    - il diritto di controinformare per legittima difesa. Per sottrarci al regime censorio dei Media di stato e di tutta l'informazione globalizzata.

    idea culturale

    Il progetto si affida al principio di totale condivisione:

    - delle informazioni,
    - delle scelte,
    - delle spese,
    - delle responsabilità.

    Chiunque può partecipare attivamente, entrando a pieno titolo nella redazione, inviando articoli, oppure semplicemente stampando da casa questo foglio corsaro e diffondendolo presso amici, parenti, conoscenti e non.
    Non ci sono verticismi, non c'è burocrazia, tutto si decide di comune accordo e in maniera paritaria e orizzontale in sede assembleare.
    Cubo Libre siamo noi.
    Cubo Libre sei tu.

    destinatari

    Il progetto è rivolto alle libere coscienze calabresi, giovani e meno giovani. Maànche a quelle meno libere...