Non dite a mio nonno...
Non dite a mio nonno, e a chi versò il sangue per liberare la patria dall’infamia del nazifascismo, che i figli e i nipoti dei gerarchi di ieri sono i governanti di oggi. Non ditegli, soprattutto, che la memoria della resistenza italiana rischia di morire assieme agli ultimi testimoni e attori delle lotte partigiane. Semplicemente cancellata dai programmi scolastici, dal parlare e dal sentire comune. Logorata da una progressiva e costante opera di revisionismo storico, attraverso cui si è voluto, innanzitutto, mettere sullo stesso piano i martiri partigiani e i morti della Repubblica di Salò, per poi arrivare ad omettere, nei libri di storia, i valori fondanti della Repubblica: Resistenza e Antifascismo.
Artefici di questo oblio, sapientemente indotto nelle fragili e volubili coscienze italiane, non sono solo i Pansa o le Gelmini di turno. La perdita della memoria collettiva, che ci sta nuovamente precipitando in un baratro di ignoranza e qualunquismo secolare, è precisa responsabilità di ogni singolo individuo, di ogni singolo soggetto, politico o meno, che si muove ed agisce nell’ombra o alla luce dei riflettori mediatici nazionali.
Tra il 1945 e il 2010, non ci sono solo sessantacinque anni di distanza. In mezzo c’è la Guerra Fredda, il terrorismo di Stato, il golpe Borghese, il Gladio, il Piano di Rinascita Democratica di Gelli e della P2, Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la conseguente nascita di un regime mediatico di stampo neofascista, la globalizzazione, l’11 settembre e le guerre preventive della NATO in Iraq e Afghanistan, propagandate come missioni di pace e, alla lunga, mostratesi agli occhi dell’opinione pubblica per quello che realmente sono: occupazioni militari di terre ricche di risorse e acquisizione di posizioni strategiche nello scacchiere militare planetario.
Anno dopo anno, la borghesia internazionale ha lavorato, indisturbata, per cementare le fondamenta di un mostro economico globale che, con la complicità di governi fantoccio e di un’opinione pubblica narcotizzata e asservita, ha comprato e svenduto la sovranità nazionale e i beni pubblici di ogni paese in cui è riuscita ad insediarsi. E dove non è riuscita a comprare ha portato guerra, instabilità politica ed economica, stragismo di Stato, malaffare e un asfittico controllo sociale, ottenuto con mezzi leciti e illeciti.
Sullo sfondo di questo tetro scenario – in cui le lotte di resistenza del futuro assumono i connotati di vere e proprie guerre per il libero accesso alle risorse idriche e alimentari, per il riconoscimento del diritto all’esistenza stessa e alla libertà dalla schiavitù esercitata da élites politiche e finanziarie – su questo sfondo si muove ciò che rimane della Resistenza.
No, non si sta parlando di quell’accozzaglia di politici e politicanti della pseudo-sinistra italiana, che ha cambiato i propri punti e valori di riferimento storici alla stessa velocità con cui ha dimostrato di essere avvezza a cambiare abito, bandiera e poltrona. Si parla di tutte quelle coscienze che hanno animato le lotte operaie e studentesche del ’68, le battaglie democratiche per i diritti civili (come il divorzio e l’aborto) e i diritti umani, le lotte contro il nucleare, contro la mafia e la corruzione di Stato. Quel fronte di lotta sembra essere stato spazzato via, annichilito e fagocitato da un sistema di falsi miti e falsi valori, in cui la perdita della memoria storica è direttamente proporzionale alla perdita di coscienza e identità di popolo, della sua capacità di porre argine a tutte le forme di fascismo del nuovo millennio. Un sistema in cui la corsa alla poltrona (nel piccolo e nel grande) si è sostituita alla capacità e alla voglia di lottare per tutelare i propri diritti.
È tempo di prendere nuovamente coscienza e tornare alle barricate, per difendere il nostro passato e il futuro dei nostri figli.

di Büyükbaba
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