Cartoline dalla cattività - Il Tropical
Capitolo I - Il Tropical


Il Tropical è il centro del mondo, che brucia almeno a trenta gradi di volume alcolico. È un via vai ininterrotto di persone d’ogni genere e nazionalità, che vanno lì a riempire i tavoli e vuotare le bottiglie. Entrano ed escono a flusso continuo, calcando incessantemente i pavimenti. Non di rado stramazzandoci sopra anche. Un goccio di troppo, la sbronza che sale e poi la botta. Improvvisa, inevitabile, liberatoria.
A volte capita anche al Buono quando è cotto al punto giusto. Vederlo venire giù è come assistere al crollo dell’albero maestro di una nave: scompare dietro profili e sagome che fino a poco prima sovrastava, schiantandosi nello stupore generale.
– Ci combiniamo a scimmia? – farfuglia il Lento, rivolgendo un sorriso poco rassicurante in direzione del Gallo. Lo sguardo di quest’ultimo sembra annegare nel fondo della sua doppio malto rossa. Non risponde, ma fa rimbalzare la domanda indirizzando un’occhiata interrogativa nei confronti del Buono, che sosta in piedi a ridosso del bancone, alla destra dei due.
– Finiamoci 'sta birra e poi partiamo con la roulette – è la quieta replica del ragazzone.
La roulette, nelle consuetudini dei tre studenti, è una serie di giri di rum secco, da bere alla goccia. Le regole sono schifosamente semplici: si vuota d’un sorso il bicchiere e lo si capovolge. Se cadono più di tre gocce, a chi non ha superato la prova tocca bere ancora. Da solo. Altrimenti si prosegue con un altro giro di rum. Tutti assieme. Di solito succede che si vada avanti fino al crollo per sfinimento da parte di qualcuno. Di solito quel qualcuno è il Buono.
– Ma si, finiamoci! – taglia corto sardonicamente il Gallo che, dopo aver fatto cozzare il proprio boccale di birra contro quello dei due amici, se lo avvicina alle labbra dando generose sorsate.
Il Surice, dietro il bancone, ascolta la conversazione abbozzando un sorriso. Le sue dita corrono a frugare tra le bottiglie nello scaffale, serrandosi attorno al collo di un Havana. Sta per voltarsi e posare la bottiglia di rum sul bancone. Vorrebbe anche parlare e dire qualcosa del tipo: – "Dai ragazzi, il primo giro ve l’offro io", ma non ci riesce. La bocca impastata, gli occhi sparati in direzione dell’ingresso, il braccio sospeso a mezz’aria. È talmente impallato che il Gallo, il Lento e il Buono se ne avvedono e ne seguono lo sguardo, voltandosi all’unisono verso l’entrata.
– Porca puttana! – sono le uniche parole che riesce a dire il Surice, vedendo entrare Joaquín, uno studente spagnolo di cui si erano perse le tracce da un anno.Misteriosamente scomparso durante un Evento Erasmus, tutti lo davano ormai per morto.

di Kapitän Arschloch
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